Sempre secondo Paolo Diacono, alla morte di Autari, Teodolinda ebbe il privilegio di scegliere un secondo marito e di farne il nuovo re dei Longobardi. La Regina, cattolica, scelse il turingio e ariano Agilulfo, duca di Torino e fedele alleato di Autari.
Il matrimonio fu celebrato nell’autunno del 590 a Lomello, presso Pavia, e secondo una notizia riportata da Paolo Diacono e ripresa dallo storico Bartolomeo Zucchi, sarebbe stato seguito, poco dopo, dal battesimo del sovrano, convertitosi alla fede cattolica. Nel maggio del 591, a Milano, Agilulfo ricevette infine l’investitura reale dai capi del suo popolo. E a Milano trasferì la sede della corte, forse nell’intento di manifestare una linea di continuità tra la sua autorità e quella degli imperatori romani cristiani, che nel IV secolo avevano eletto questa città a capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Nello stesso senso va letta, del resto, la scelta, sempre attestata da Paolo Diacono, di assumere i titoli di “Flavius” e “Agone”, istituendo così un legame con la mitica dinastia imperiale del I secolo d. C., in modo da rilanciare il programma legittimante del potere reale longobardo avviato da Autari. Per volere di Teodolinda, Monza fu scelta invece come sede della residenza estiva. Le circostanze di questa scelta sono state raccontate in termini leggendari, nel XIV secolo, nel “Chronicon” di Bonincontro Morigia. Secondo il cronista, la regina aveva in animo di costruire una chiesa in onore del precursore di Cristo, san Giovanni Battista, e per ispirazione divina aveva stabilito di edificarla dove le fosse apparso lo Spirito Santo.
L’incontro avvenne attorno al 595: mentre era impegnata in una battuta di caccia lungo le sponde del Lambro, Teodolinda si sarebbe fermata a riposare all’ombra di una grande quercia. Qui le sarebbe apparsa una colomba, che le avrebbe sussurrato la parola “Modo” (qui), alla quale la regina avrebbe risposto “Etiam” (sì). Proprio in quel punto, secondo la leggenda, ella avrebbe allora costruito un palazzo e la prevista cappella, mentre dalla fusione delle due parole sarebbe scaturito il toponimo Modoetia, l’antico nome di Monza. Eccezion fatta per la cosiddetta “Torre Longobarda”, per tre sepolture alto-medievali ritrovate sotto il pavimento dell’odierno duomo e per alcuni frammenti di una recinzione presbiteriale, nulla rimane di queste costruzioni. Quel che si sa è che il palazzo era decorato con pitture raffiguranti la storia del popolo longobardo e che la chiesa fu dotata di uno splendido tesoro, arricchito anche grazie ai preziosi doni offerti da papa Gregorio Magno nel 603, in occasione del battesimo del figlio della coppia, Adaloaldo.
Alcune straordinarie testimonianze delle preziose oreficerie che lo costituivano sono giunte fino a noi e si possono ammirare nel Museo e Tesoro del Duomo. Comunque sia, a partire dal 590 e per i successivi 25 anni la storia dei Longobardi fu condizionata ed egemonizzata dall’azione e dalla personalità di Agilulfo e Teodolinda, la cui unione fu allietata dalla nascita di due figli: una femmina, Gundeperga, venuta alla luce intorno al 600 e che per ben due volte sarà – come sua madre – regina dei Longobardi, prima come moglie di re Arioaldo (626-636), poi di Rotari (636-652); quindi un maschio, Adaloaldo, nato nel 602 e associato al trono nel 604, dopo essere stato battezzato con rito cattolico nel 603 nella chiesa di Monza dal consigliere di Teodolinda e vescovo di Trento, Secondo di Non. Sia il battesimo che l’associazione al trono di Adaloaldo furono eventi decisivi nella strategia politica e religiosa della coppia reale. Durante il loro regno Teodolinda e Agilulfo procedettero infatti in perfetto accordo nel tentativo di dare sostanza al disegno vagheggiato da Autari di trasformare un coacervo disordinato di guerrieri barbari e di italici assoggettati in un popolo pacificato, organizzato in uno stato solido e di respiro nazionale, fornito di una dinastia reale ereditaria.
Sui meriti e sul ruolo svolto dalla sovrana in questa operazione, scarse ma di tutto rilievo sono le testimonianze delle fonti contemporanee, a partire dal tenore di una lettera della fine del 598, in cui, ricordando “l’impegno e la bontà” con cui Teodolinda si era prodigata per promuovere la pace tra Longobardi e Bizantini, papa Gregorio Magno (590-604) esortava la regina a compiere “tutti i passi necessari” presso Agilulfo “in modo che questi non rinunci all’alleanza con l’Impero cristiano” e la invitava inoltre “a favorire tutto quanto può giovare a entrambe le parti”, come del resto era sempre stato nel costume della regina. Gravi difficoltà e ostacoli avevano in effetti caratterizzato il primo decennio di regno di Agilulfo e Teodolinda, costellato sul fronte esterno dalle continue trame di Franchi e Bizantini per abbattere il loro dominio nella penisola e, su quello interno, dalla ribellione di vari duchi, restii a riconoscere l’autorità dei sovrani, costretti di conseguenza a operare in un perenne stato di guerra impegnata su più fronti. E se il tradimento dei duchi longobardi fu risolto nel 595 con la sconfitta e l’esecuzione dei ribelli, nei rapporti con i Franchi Agilulfo procedette nel solco dell’eredità autarena, stabilendo una tregua più volte rinegoziata che gli permise di concentrare le proprie forze nella penisola, dove dette avvio nel 591 a una trionfale campagna di espansione verso sud, che lo portò pian piano ad occupare ampie aree bizantine del Veneto, dell’Emilia Romagna, dell’Umbria e della Toscana, fino a lambire Roma, la cui conquista fu evitata solo dall’azione diplomatica di papa Gregorio Magno, appoggiata proprio da Teodolinda.
Tra le cause che rendevano delicata la situazione, un ruolo eminente era giocato dai contrasti di natura religiosa. L’opposizione tra occupanti e occupati era infatti acuita dalla divisione tra i Romani cattolici e i Longobardi ariani; divisione resa più complessa dal dilagare dello scisma tricapitolino, che aveva staccato da Roma le due principali sedi vescovili dell’Italia settentrionale, Milano e Aquileia. In questo clima, Teodolinda scelse di restare fedele all’obbedienza tricapitolina cui aderiva la diocesi milanese, mostrando così di saper valutare appieno la situazione in cui si trovava ad operare. In questo modo la sovrana si garantiva infatti una sorta di equidistanza tra il papato romano e l’aristocrazia longobarda, ponendosi così nella posizione di colei che, stando sopra le parti, tendeva solo a garantire gli interessi superiori del popolo e del Regno. Non è improbabile che la fondazione della Basilica di San Giovanni Battista a Monza rappresenti un momento significativo di questa politica religiosa della sovrana. Eretta entro i confini della diocesi di Milano, allora dominata dalla componente ariana dei longobardi a causa dell’esilio a Genova dei vescovi cattolici, tornati nel frattempo all’obbedienza romana, la chiesa monzese nasceva infatti come istituzione regia assoggettata al rito patriarchino, manifestando in tal modo una sostanziale indipendenza da Milano e da Roma, nell’ottica tuttavia, chiaramente attestata dalla corrispondenza e dalle azioni della sovrana, di un graduale avvicinamento al pontefice, finalizzato a promuovere una pacifica convivenza, tanto religiosa quanto politica, tra la popolazione longobarda e quella italica.
A tale avvicinamento risponde senz’altro la scelta di battezzare Adaloaldo con rito cattolico, quasi ad assicurare, attraverso la persona del futuro sovrano, il naturale trionfo di questa professione di fede presso la popolazione longobarda, così da favorirne l’integrazione con la popolazione romana. Nella stessa ottica vanno altresì lette le iniziative avviate dalla corte: durante il regno di Agilulfo e Teodolinda, infatti, buona parte dei beni sottratti alle autorità ecclesiastiche vennero restituiti, molti vescovi poterono tornare nelle loro sedi e furono restaurate chiese e conventi. La coppia reale caldeggiò inoltre la riforma monastica di san Colombano, donando al monaco irlandese possedimenti e terreni per la costituzione nel 612 del monastero di Bobbio, nei pressi di Piacenza, presto divenuto uno dei più importanti cenobi dell’Europa medievale, nonché centro di irradiazione spirituale e di conversione al cattolicesimo dei Longobardi.